Promesse che non sono state mantenute
Il Senato ha dato il proprio placet alla riforma della PA, un provvedimento che agli albori – almeno stando a quanto dichiarato dal ministro Madia e da numerosi esponenti del governo Renzi – avrebbe dovuto riscrivere buona parte della previdenza italiana prevedendo tutta una serie di novità.
Ma le aperture proposte nel decreto della Pubblica Amministrazione sono letteralmente sfumate con i diversi passi indietro che il governo ha fatto in merito a molti temi, come l’uscita anticipata, l’abbassamento dell’età pensionabile, le penalizzazioni e molto altro ancora.
Uno dei dietrofront del Governo più sentiti è stato quello degli emendamenti soppressivi annunciato la settimana scorsa da Marianna Madia, ministro della Pubblica Amministrazione, che ha dichiarato saltato l’emendamento sulla “quota 96” che avrebbe permesso ai dipendenti delle scuole di andare in pensione dopo il blocco della riforma Fornero.
Saltato, anche il tetto dei 68 anni per i primari ed i professori universitari: per loro rimane la soglia indicata per i dipendenti pubblici.
Saltata pure l’opzione donna, che al momento non trova alcuna risposta ma che potrebbe essere uno dei temi della legge di stabilità che avverrà nell’autunno 2015: si tratta della possibilità per le donne di andare in pensione a 57 anni di età con 35 di contributi (58 anni se lavoratrici autonome), scegliendo un trattamento calcolato interamente con il sistema contributivo. Da questo punto di vista ci si aspettava una maggiore apertura del governo, soprattutto per chi è rimasto intrappolato nella riforma Fornero, ma per adesso l’intervento appare rimandato.
Sul tema dell’abbassamento dell’età pensionabile, dunque, le note rimangono amare: non è ancora il momento per consentire la “pensione anticipata e flessibile per tutti” – come dichiarava qualche settimana fa il ministro Marianna Madia – perché non vi sono i fondi economici per permettere un abbassamento dell’età pensionabile.