Brambilla: Part Time meglio di niente ma non basta, ecco perché
“In un mercato del lavoro ingessato in uscita per le rigidità introdotte dalla legge Monti Fornero, la possibilità offerta ai lavoratori cui mancano tre anni alla età di pensionamento e che maturano tale età (66 anni e 7 mesi) entro il 31 dicembre 2018 di utilizzare il part time (cioè lavorare non più l’intera giornata ma tra il 40 e il 60% del tempo) può essere vista positivamente. Così Alberto Brambilla coordinatore del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, l’ente organizzatore della Giornata Nazionale della Previdenza e del Lavoro.
Anche se, va detto – prosegue Brambilla – avrei preferito l’adozione della flessibilità in uscita con un anticipo massimo di 4 anni e un correttivo attuariale che riduce la prestazione pensionistica del 12,3% circa (4 anni di anticipo e 35 anni di contribuzione).
Il cosiddetto part time pone tre problemi:
- in primis per il lavoratore che anzitutto dovrà avere il benestare dal datore di lavoro e poi avrà una retribuzione (in ipotesi di tempo parziale al 50%) pari al 70% del suo reddito da tempo pieno; bisognerà vedere se gli basterà;
- per le aziende poiché rappresenta un aumento del costo orario di lavoro di oltre il 10%;
- i 60 milioni stanziati, se utilizzati per l’intero triennio, potranno soddisfare non più di 25 mila lavoratori; un po’ pochini!
Come si diceva meglio questo che niente; nel corso della Giornata Nazionale della Previdenza (10, 11 e 12 maggio a Napoli) verranno affrontati in diversi convegni e momenti di incontro, con tecnici, politici e parti sociali i temi caldi della previdenza: part time, flessibilità, contributi di solidarietà e indicizzazione delle pensioni e come utilizzare il part time per uscire con un anno e mezzo di anticipo; come? con l’applicazione del part time verticale”.