Pensioni: Riforma Fornero, alla lunga più danni che bene.
Un “Rapporto sullo Stato sociale 2013” della facoltà di Economia de La Sapienza, curato dal prof. Felice Roberto Pizzuti e presentato presso l’ateneo romano sostiene che nonostante i “buoni” e necessari risultati iniziali della ormai famosa e odiata riforma previdenziale che porta il nome e la firma dell’ex ministro del welfare Elsa Fornero, al lungo andare graverà negativamente sul tasso di disoccupazione, in particolare su quella giovanile.
Ma vediamo in dettaglio cosa ci svela lo studio:
“Nell’attuale situazione di crisi strutturale, e particolarmente in quella italiana la congenita difficoltà di creare posti di lavoro fa sì che l’aumento dell’età pensionabile tenda a ridurre il turn over, ad aumentare la disoccupazione giovanile, ad aumentare l’età media e il costo della forza lavoro, a ridurre la capacità innovativa e la produttività, ad ampliare la fascia di popolazione in età matura che ha difficoltà a mantenere o ritrovare il posto di lavoro mentre è sempre più lontana dalla pensione”.
E continua “la riforma Fornero-Monti ha aggravato queste problematicità e altre ancora. E’ stato valutato che il forte aumento dell’età di pensionamento deciso nel dicembre 2011, aumentando il costo del lavoro e riducendo la produttività, inciderà negativamente sul tasso di disoccupazione, aumentandolo di circa un punto percentuale. D’altra parte il minor numero di pensionamenti provocati già nel 2012 dagli slittamenti dell’età di pensionamento decisi dal precedente governo ha già contribuito al contestuale aumento della disoccupazione giovanile oramai proiettato verso il 40%”.
Infine un dato e una previsione agghiacciante; se la riforma Fornero rimane inalterata “’ogni anno di vita aggiuntiva conquistata dovranno essere interamente impiegata a fini lavorativi, mentre la stessa Comunità Europea suggerisce che ciò dovrebbe valere solo per i due terzi”, in parole povere vivremo in più, sì, ma solo per lavorare.